Negli ultimi anni la pratica dell’illegittima apposizione di marchi “made in” e specialmente “made in Italy” o “Italy” su prodotti integralmente realizzati in Paesi extra-europei si è incrementata a livelli mai raggiunti prima, inducendo da più parti la richiesta di specifici interventi atti a contrastare il fenomeno.
Questa diffusa pratica penalizza, in particolare, le imprese italiane, specie le PMI, che, pur tra mille difficoltà, continuano a produrre merci di qualità, impiegando mano d’opera in loco, con gli alti costi che questo comporta.
Di qui la necessità di tutelare le produzioni europee, e quindi italiane, attraverso l’ approvazione di un regolamento per l’ adozione del marchio “Made in” che introduca regole certe su disciplinari, modalità, materiali e territori di produzione.
A livello europeo e’ passata al vaglio del Parlamento la direttiva che ha l’ambizioso obiettivo di uniformare la disciplina sull’etichettatura di origine nei 27 Paesi membri.
La Commissione europea ha proposto nuove norme volte ad aumentare la sicurezza dei prodotti di consumo che circolano nel mercato unico e a potenziare la vigilanza del mercato per tutti i prodotti non alimentari, compresi quelli importati da paesi terzi. Questa iniziativa contribuirà a rafforzare la protezione dei consumatori e a creare condizioni di parità per le imprese. I prodotti non sicuri non dovrebbero raggiungere i consumatori o gli altri utilizzatori e grazie ad un’identificazione e a una tracciabilità migliori sarà possibile ritirarli rapidamente dal mercato.
- L’approvazione del regolamento sul marchio “Made in” favorisce:
una reale lotta alla contraffazione; - una leale concorrenza fondata sulla reciprocità (una parte della produzione mondiale viene realizzata non rispettando le norme minime di protezione sociale e ambientale, creando così una distorsione delle regole del commercio internazionale aggravata dall’approccio di alcuni sistemi nazionali che ostacola, di fatto, la libera concorrenza del commercio internazionale);
- una corretta informazione per una scelta consapevole dell’ utente finale;
- la tutela delle PMI. Questa tipologia di azienda, in gran parte tipica del tessuto imprenditoriale italiano, viene fortemente penalizzata dagli orientamenti di paesi, Germania in testa, che assemblano e non producono in Europa. (A che livello cadrebbe la fiducia del consumatore sull’ affidabilità di tali prodotti se sapesse che le batterie delle auto della casa tedesca vengono prodotte in Corea e che i telefonini finlandesi sono realmente prodotti nel sud est asiatico)
Rapporti commerciali UE – Paesi terzi
La produzione ed il commercio all’ interno della UE sono regolamentati con norme severe e ampie tutele sotto il profilo sindacale, ambientale, sanitario, del lavoro femminile e minorile.
Le conquiste di civiltà, nel solco dei principi ispiratori per la costruzione dell’ Europa unita , comportano un alto costo in termini economici per i nostri operatori. Questo costo però si tramuta in un’ingombrante palla al piede nel momento in cui, sul mercato globalizzato, si affacciano le economie dei Paesi terzi (es. Cina) che, in assenza di reciprocità, effettuano dumping sui nostri mercati.
- Queste le problematiche che meritano particolare attenzione:
- la generale arbitrarietà e la scarsa chiarezza normativa;
- la tutela dei diritti di proprietà intellettuale;
- la politica industriale;
- i diritti commerciali e i servizi di distribuzione;
- l’ agricoltura.
Chi ne trarrà vantaggio e in che modo?
I consumatori – Prodotti sicuri e conformi in tutta l’UE con un livello di protezione ancor più elevato. Ciò significa maggiore fiducia dei consumatori nel mercato interno.
I fabbricanti/le imprese – Norme più coerenti in tutti i settori di prodotti. Ciò significa ridurre i costi di adeguamento alla normativa per le imprese, in particolare per le piccole e medie imprese. Inoltre grazie ad un migliore coordinamento dei controlli di sicurezza dei prodotti si elimina la concorrenza sleale da parte di operatori disonesti o scorretti.